Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (la n. 26496 del 20/11/2020), ha escluso la possibilità per la farmacia di chiedere all’ASL inadempiente gli interessi moratori riconoscendo alla farmacia una prevalente natura di servizio pubblico. Questo e altri corollari della decisione sono in grado di produrre effetti imprevedibili che si rifletterebbero a catena sulla intera filiera distributiva.
La regolamentazione ne riflette la crescente complessità e ha seguito percorsi non lineari.
L’esercizio dell’attività della farmacia può avere natura pubblicistica, quale articolazione territoriale dell’attività statuale di tutela della salute dei cittadini o natura imprenditoriale, che si sostiene con mezzi economici propri e persegue finalità privatistiche. Perdipiù il farmacista, unica figura abilitata a condurre una farmacia, è un libero professionista iscritto ad un albo presso un Ordine professionale.
Le norme susseguitesi nel tempo e l’interpretazione della giurisprudenza hanno portato a far propendere per una delle due funzioni a seconda che la farmacia venisse considerata nel suo rapporto con la cittadinanza, con il servizio pubblico e con il mercato, tanto in termini di concorrenza sui servizi, che di asset economico suscettibile di interessi speculativi.
In una parola, la natura imprenditoriale o meno dell’attività di farmacia è condizionata da quella che viene esercitata in concreto.
La natura giuridica complessa impatta con vari aspetti della vita della farmacia, a cominciare dalle prescrizioni sui prodotti, per continuare sul contratto collettivo applicabile ai dipendenti e arrivare alla natura dei crediti che la farmacia vanta nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale che possono, a loro volta, essere oggetto di attenzione dei creditori della farmacia.
In un altro articolo pubblicato su questa piattaforma abbiamo tratteggiato la questione degli interessi moratori riconosciuti sui crediti vantati dalla farmacia nei confronti del SSN.
Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (la n. 26496 del 20/11/2020), ha escluso la possibilità per la farmacia di chiedere all’ASL inadempiente gli interessi moratori ex Dlgs 231/02 (nella versione antecedente la novella europea del 2011 -Direttiva 2011/7/UE).
Per inquadrare la portata della sentenza, occorrono un paio di premesse sintetiche.
La causa dell’inadempienza diviene una vera e propria esimente di sistema
Il farmacista è obbligato a rifornire il paziente e soggiace alla preminenza dell’assistenza sanitaria. L’ASL non gli rifonde tempestivamente il farmaco mutuato, così che, per causa a lui non imputabile, non sarebbe tenuto a pagare gli interessi al distributore.
Lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto valere dalla ASL nei confronti del farmacista che pretenda il pagamento delle somme anticipate per l’acquisto dei farmaci con obbligo di prescrizione. Se egli potesse pretendere il pagamento degli interessi moratori dalla ASL, ma potesse rifiutarsi di corrisponderli ai distributori di farmaci suoi creditori, si creerebbe un palese e inaccettabile squilibrio di trattamento.
La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite menzionata sopra stabilisce che la tutela del diritto dei cittadini / pazienti alla salute, come riconosciuto dall’art. 32 Cost. prevalga sul profilo commerciale limitatamente alla dispensazione dei farmaci di classe A (interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale).
La distribuzione di farmaci di Classe A non può essere considerata “attività economica organizzata” da parte del farmacista e nemmeno svolgimento della libera professione, mentre configura la partecipazione strutturale e ordinaria a livello territoriale del SSN.
Per questa ragione, il farmacista non ha i requisiti per chiedere all’ASL gli interessi moratori in caso di ritardato pagamento.
Ovviamente, la sentenza riconosce che il punto è stato superato dall’evoluzione normativa, (in particolare dall’art. 4 Dlgs 231/02 nella versione in vigore dal 1° gennaio 2013), che ha disciplinato il decorso degli interessi moratori nei confronti degli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria.
La Corte di Cassazione argomenta letteralmente in questo passaggio: «Dissezionando la giustapposta duplice natura dell’attività del farmacista – riconducibile l’una alla libera professione e l’altra al pubblico servizio – così da estrarre quella che viene in gioco ai fini della dispensazione dei farmaci di classe A, non può non concludersi che in questa il farmacista è direttamente e specificamente inserito nel servizio sanitario nazionale, come suo segmento».
Questo porta almeno due conseguenze generali.
Entrambi questi corollari sono in grado di produrre effetti imprevedibili che si rifletterebbero a catena sulla intera filiera distributiva.