La complessa natura giuridica della farmacia e le conseguenze sui crediti

Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (la n. 26496 del 20/11/2020), ha escluso la possibilità per la farmacia di chiedere all’ASL inadempiente gli interessi moratori riconoscendo alla farmacia una prevalente natura di servizio pubblico. Questo e altri corollari della decisione sono in grado di produrre effetti imprevedibili che si rifletterebbero a catena sulla intera filiera distributiva.

L’antica arte della farmacia ha assunto, in tempi moderni, connotazioni ben più articolate che in passato, quando era legata solo alla preparazione e distribuzione dei farmaci.

La regolamentazione ne riflette la crescente complessità e ha seguito percorsi non lineari.

L’esercizio dell’attività della farmacia può avere natura pubblicistica, quale articolazione territoriale dell’attività statuale di tutela della salute dei cittadini o natura imprenditoriale, che si sostiene con mezzi economici propri e persegue finalità privatistiche. Perdipiù il farmacista, unica figura abilitata a condurre una farmacia, è un libero professionista iscritto ad un albo presso un Ordine professionale.

Le norme susseguitesi nel tempo e l’interpretazione della giurisprudenza hanno portato a far propendere per una delle due funzioni a seconda che la farmacia venisse considerata nel suo rapporto con la cittadinanza, con il servizio pubblico e con il mercato, tanto in termini di concorrenza sui servizi, che di asset economico suscettibile di interessi speculativi.

In una parola, la natura imprenditoriale o meno dell’attività di farmacia è condizionata da quella che viene esercitata in concreto.

La natura giuridica complessa impatta con vari aspetti della vita della farmacia, a cominciare dalle  prescrizioni sui prodotti, per continuare sul contratto collettivo applicabile ai dipendenti e arrivare alla natura dei crediti che la farmacia vanta nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale che possono, a loro volta, essere oggetto di attenzione dei creditori della farmacia.

I crediti della farmacia e la loro pignorabilità

In un altro articolo pubblicato su questa piattaforma abbiamo tratteggiato la questione degli interessi moratori riconosciuti sui crediti vantati dalla farmacia nei confronti del SSN.

Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (la n. 26496 del 20/11/2020), ha escluso la possibilità per la farmacia di chiedere all’ASL inadempiente gli interessi moratori ex Dlgs 231/02 (nella versione antecedente la novella europea del 2011 -Direttiva 2011/7/UE).

Per inquadrare la portata della sentenza, occorrono un paio di premesse sintetiche.

  1. Il farmacista non può rifiutarsi di adempiere l’obbligo di consegnare al paziente il medicinale oggetto della ricetta. La dispensazione di un farmaco di classe A è interamente rimborsabile a carico del SSN e genera un credito equivalente al prezzo in favore della farmacia.
  2. Le ASL non sempre sono in grado di rimborsare tempestivamente i crediti alle farmacie territoriali, per mancanza di fondi (la situazione presenta forti disomogeneità territoriali, ma questa è un’altra storia).
  3. L’ASL che non rifonde il credito al farmacista è inadempiente, ma potrebbe costringere il farmacista a esserlo a sua volta verso la società distributrice di farmaci a cui il farmacista oppone di non aver ricevuto il rimborso.

La causa dell’inadempienza diviene una vera e propria esimente di sistema

Il farmacista è obbligato a rifornire il paziente e soggiace alla preminenza dell’assistenza sanitaria. L’ASL non gli rifonde tempestivamente il farmaco mutuato, così che, per causa a lui non imputabile, non sarebbe tenuto a pagare gli interessi al distributore.

Lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto valere dalla ASL nei confronti del farmacista che pretenda il pagamento delle somme anticipate per l’acquisto dei farmaci con obbligo di prescrizione. Se egli potesse pretendere il pagamento degli interessi moratori dalla ASL, ma potesse rifiutarsi di corrisponderli ai distributori di farmaci suoi creditori, si creerebbe un palese e inaccettabile squilibrio di trattamento.

La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite menzionata sopra stabilisce che la tutela del diritto dei cittadini / pazienti alla salute, come riconosciuto dall’art. 32 Cost. prevalga sul profilo commerciale limitatamente alla dispensazione dei farmaci di classe A (interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale).

La distribuzione di farmaci di Classe A non può essere considerata “attività economica organizzata” da parte del farmacista e nemmeno svolgimento della libera professione, mentre configura la partecipazione strutturale e ordinaria a livello territoriale del SSN.

Per questa ragione, il farmacista non ha i requisiti per chiedere all’ASL gli interessi moratori in caso di ritardato pagamento.

Ovviamente, la sentenza riconosce che il punto è stato superato dall’evoluzione normativa, (in particolare dall’art. 4 Dlgs 231/02 nella versione in vigore dal 1° gennaio 2013), che ha disciplinato il decorso degli interessi moratori nei confronti degli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria.

La Corte di Cassazione argomenta letteralmente in questo passaggio: «Dissezionando la giustapposta duplice natura dell’attività del farmacista – riconducibile l’una alla libera professione e l’altra al pubblico servizio – così da estrarre quella che viene in gioco ai fini della dispensazione dei farmaci di classe A, non può non concludersi che in questa il farmacista è direttamente e specificamente inserito nel servizio sanitario nazionale, come suo segmento».

Il principio è enunciato con chiarezza: il farmacista – limitatamente alla dispensazione dei farmaci di fascia A – esercita un pubblico servizio.

Questo porta almeno due conseguenze generali.

  1. Da un lato, le norme che dovessero limitare la pignorabilità delle rimesse finanziarie al SSN (penso all’art. 117 comma 4, DL 34/2020), potrebbero rendere altrettanto impignorabili per i terzi, i crediti vantati dalle Farmacie nei confronti del SSN.
  2. Dall’altro, la convinta attribuzione della qualità di servizio pubblico alla farmacia potrebbe attrarre il compendio di norme penali a protezione dello status. Tra le altre si pensi alla tutela posta contro l’inadempimento di contratti di pubbliche forniture.

Entrambi questi corollari sono in grado di produrre effetti imprevedibili che si rifletterebbero a catena sulla intera filiera distributiva.

 

Avvocato Samuele Barillà

La vendita dei farmaci online

# farmaci online

La modalità di vendita di beni online è ormai talmente diffusa da far parte dell’esperienza quotidiana di ognuno e questo vale per i più diversi settori commerciali e merceologici, compreso quello farmaceutico.

La normativa sulla vendita on line dei farmaci  è stata introdotta nel nostro Paese con il Decreto legislativo n. 17 del 2014, in attuazione della direttiva del Parlamento europeo 2011/62/UE .

Nella norma la pratica viene pomposamente definita: «vendita a distanza al pubblico di medicinali mediante i servizi della società dell’informazione».

La vendita è limitata ai medicinali senza obbligo di ricetta medica (i cosiddetti farmaci da banco), ed è consentita solo agli esercizi fisici: farmacie, società di farmacisti titolari di farmacie ed esercizi commerciali autorizzati alla vendita di medicinali presenti fisicamente sul territorio.

Questa pratica commerciale si intreccia e si sovrappone a quella relativa alla vendita di altri prodotti sanitari e cosmetici e rende l’applicazione delle norme non sempre facile, oltre che decisamente delicata in quanto finalizzata a garantire il massimo livello di tutela della salute pubblica.

La distribuzione di farmaci online, i doveri del farmacista

Il farmacista deve rispettare regole e disposizioni diversificate a seconda della tipologia di prodotto che mette in vendita on line.

Tra gli obblighi del titolare di farmacia c’è quello di imporre gli stessi prezzi sui farmaci venduti online e su quelli dispensati all’interno della farmacia. Questo obbligo non riguarda invece gli altri prodotti commercializzati, come i cosmetici.

Le linee guida in materia di buona pratica di distribuzione dei farmaci devono essere seguite anche nel caso della vendita online al fine di garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti.

Si tratta per lo più di indicazioni sulla conservazione, lo stoccaggio e la logistica, nonché sui mezzi e le modalità di trasporto dei medicinali e sulla documentazione necessaria.

Questi servizi sono forniti dai grossisti che si occupano di rivendita e di logistica sul territorio.

Il Ministero della Salute si è espresso chiaramente sul possibile coordinamento tra farmacia e grossista per la spedizione del farmaco al cliente che ordina online.

La vendita online di farmaci non è consentita ai grossisti e le farmacie possono mettere in vendita online solo farmaci da loro stesse acquistati e conservati presso il proprio magazzino.

Nel caso in cui fosse sprovvisto del medicinale richiesto online dal cliente, deve, prima di spedirlo, entrarne materialmente in possesso e non può chiedere al grossista di recapitarlo direttamente al cliente.

Alla stessa condizione soggiacciono le farmacie che detengono la licenza ad operare in qualità di distributore intermedio.

Le piattaforme e-commerce farmaceutiche

La modalità di vendita online è stata oggetto di un ampio dibattito tra il Ministero della Salute e le principali associazioni di categoria.

Con la propria Circolare del 10 maggio 2016, il Ministero ha chiarito la questione, e ha espressamente vietato alcune modalità di vendita online di prodotti farmaceutici:

·      l’utilizzo di applicazioni mobili per smartphone o tablet, comunemente chiamate APP;

·      le piattaforme per l’e-commerce – anche dette ‘marketplace’;

·      l’utilizzo di siti web intermediari;

·      e piattaforme tecnologiche che dal prodotto scelto dall’utente risalgono ad un venditore selezionato dal sistema.

Secondo il Ministero questi strumenti contrastano il principio che ammette le vendite online esclusivamente attraverso i siti dei soggetti autorizzati, che devono coincidere con quelli presenti nell’elenco gestito proprio dal Ministero della Salute.

Dunque, il sito web di proprietà della farmacia rimane il solo strumento ammesso per le pratiche di e-commerce dei prodotti farmaceutici.

Il mercato dei farmaci online

Secondo le statistiche più recenti, l’e-commerce per la farmacia ha registrato un incremento del 14% nel 2021 rispetto all’anno precedente, e un 90% in più rispetto al 2019, anno prepandemico.

Considerando che in Italia è possibile vendere online soltanto i prodotti commerciali e non i prodotti etici, il fatturato dell’e-commerce ha pesato per circa il 4% del mercato complessivo dei farmaci nel 2021.

Il fenomeno è cresciuto costantemente negli ultimi anni anche a causa della pandemia, che ha cambiato le abitudini di consumo degli italiani, orientandole sempre di più verso il commercio elettronico.

Da questo quadro emerge con chiarezza l’urgenza per il farmacista di sfruttare il canale online che può costituire un nuovo ramo di business che non penalizza in alcun modo il punto vendita fisico.

Nonostante il trend sia in costante crescita, gli esercizi che hanno chiesto al Ministero della salute l’autorizzazione alla vendita di farmaci on line sono relativamente pochi.

Si parla di 550 farmacie e di 100 esercizi commerciali (dati aprile 2018), a fronte di oltre 19.000 farmacie e oltre 4.000 parafarmacie e 300 corner dei supermercati.

 

Samuele Barillà

Gli interessi moratori nei ritardi di pagamento del Servizio Sanitario Nazionale alle farmacie

La definizione del rapporto tra il sistema sanitario nazionale e le farmacie ha generato diversi problemi, tra l’altro sul calcolo degli interessi moratori in caso di ritardato pagamento.

Sono numerosi i contenziosi sorti tra Aziende Sanitarie Locali / Servizio Sanitario Nazionale e farmacie a causa dei ritardi nei pagamenti che sono giunti fino a investire, dopo le autorità giudiziarie amministrative, anche la Corte di Cassazione. La questione è stata infine chiarita dalla Corte di Giustizia Europea.

La definizione della natura del rapporto tra Pubblica Amministrazione e farmacie

Alla base dei contrasti sfociati nelle liti c’è la qualificazione dei rapporti tra ASL e farmacie come convenzioni, basate sugli accordi collettivi, o transazioni commerciali, basate su contratti di natura privatistica.

Da questa definizione, infatti, discende la non banale riconoscibilità degli interessi al tasso legale o al superiore tasso commerciale, in caso di ritardo nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione.

Numerose sentenze successive sia della Giustizia amministrativa che della Corte di Cassazione si sono espresse riconoscendo alle farmacie gli interessi al solo tasso legale, basando la decisione sulla definizione della natura convenzionale del rapporto che intercorre tra farmacie e ASL/SSN.

Questo rapporto è stato considerato speciale rispetto alla disciplina generale che riguarda le transazioni commerciali in cui in cui il debitore sia una Pubblica Amministrazione.

La “lotta” europea contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

La materia ha investito a livello politico l’Unione Europea che l’ha affrontata in termini generali come uno strumento di lotta alle iniquità esistenti, nei diversi paesi tra privati e PA tra cui si svolgano transazioni commerciali.

 Il settore è disciplinato a livello europeo, due direttive comunitarie: la 2000/35/CE e la 2011/7/UE, entrambe riferite esplicitamente alla «lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali».

Le direttive sono state recepite nel nostro Paese, rispettivamente nel 2002 e nel 2012.

Con questa disciplina si prevede la corresponsione di interessi di mora molto più elevati, rispetto al tasso legale, in favore dei privati (tra cui i farmacisti), che subiscano un ritardo nei pagamenti da parte della P.A. (quale il servizio sanitario pubblico).

La decisione della Corte di Giustizia Europea

Vista la ritrosia delle Corti nazionali nell’applicare correttamente la disciplina, la questione è stata posta alla Corte di Giustizia Europea che si è espressa con la  Sentenza del 28 gennaio del 2020 nella Causa C-122/18che ha imposto agli Stati membri l’obbligo di assicurare un termine di pagamento delle pubbliche amministrazioni non superiore a 30 o 60 giorni e il corrispondente dovere di tutelare il creditore anche versando interessi moratori a un tasso maggiore di quello legale.

La Corte si è espressa con parole inequivocabili: «I ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri dai bassi livelli dei tassi degli interessi di mora applicati o dalla loro assenza e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. È necessario un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi, in cui, tra l’altro, l’esclusione del diritto di applicare interessi di mora sia sempre considerata una clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua, per invertire tale tendenza e per disincentivare i ritardi di pagamento. Tale passaggio dovrebbe inoltre includere l’introduzione di disposizioni specifiche sui periodi di pagamento e sul risarcimento dei creditori per le spese sostenute e prevedere, tra l’altro, che l’esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero sia presunta essere gravemente iniqua».

L’Italia è stata sottoposta a procedura di sanzione per non aver adeguato le convenzioni intercorrenti tra farmacie e Aziende Sanitarie alla disciplina introdotta nel 2011 dalla seconda delle direttive menzionate.

La natura dell’attività di farmacista, del suo rapporto con la PA e l’ultima sentenza della Cassazione

La questione è stata presa nuovamente in esame dalla suprema corte nel 2020 Con la pronuncia delle sezioni unite n. 26496 del 20 novembre 2020.

Nel caso esaminato veniva richiesto il pagamento di interessi al tasso commerciale per un ritardo nel rimborso di farmaci di classe A dispensati dalla farmacia.

La Corte ha enunciato questo principio di diritto:

«qualora la pubblica amministrazione competente […] abbia tardivamente corrisposto al farmacista la seconda quota di ristoro relativa alla dispensazione dei farmaci di classe A, sulla relativa somma sono dovuti gli interessi all’ordinario tasso legale, non essendo applicabili gli interessi moratori di cui all’articolo 5 del d.lgs. n. 231 del 2002, in quanto limitatamente a tale dispensazione il farmacista è componente del servizio sanitario nazionale».

A questo principio la Suprema Corte è giunta attraverso due passaggi logici molto importanti:

1.     tra farmacia e servizio sanitario non vige sempre e soltanto un rapporto negoziale tra privato imprenditore e pubblica amministrazione, che pure ha rango di norma di legge perché recepito e reso efficace da un Decreto del presidente della Repubblica;

2.     quando il farmacista è oggetto di ristori dovuti alla dispensa azione dei farmaci di classe A non è un libero imprenditore, ma va qualificato come “componente del servizio sanitario nazionale”. Per questa ragione gli vanno corrisposti in caso di ritardati pagamenti i soli interessi di mora al tasso legale così come previsto dall’accordo collettivo.

La convenzione farmaceutica

La convenzione farmaceutica si trova in una condizione di immobilità ormai da diverso tempo. In questo articolo, cerchiamo di fare chiarezza sugli sviluppi di una questione tanto complessa quanto delicata.

I rapporti tra le farmacie e il Servizio Sanitario Nazionale sono regolati da una Convenzione stipulata tra Federfarma (Federazione Nazionale dei titolari di farmacia italiani) e le Regioni.

Il testo è stato reso esecutivo con il D.P.R. 8 luglio 1998, n. 371, ma è scaduto nel 2001 e si trova tuttora in regime di prorogatio.

Tutto il  settore è, di conseguenza, fermo allo scenario, ormai superato, di questo provvedimento che è stato adottato in un quadro normativo completamente diverso da quello attuale.

Da allora la situazione si è evoluta profondamente: il numero delle unità farmaceutiche è aumentato, si è diffusa la distribuzione diretta dei medicinali e, dal 2010, grazie a una serie di interventi legislativi, è nato un nuovo modello di business nel settore, definito come «Farmacia dei servizi».

La farmacia dovrà affermarsi non solo come punto vendita dei farmaci, ma rafforzerà il suo ruolo di mediazione sanitaria e si proporrà come luogo di erogazione di  servizi e prestazioni professionali per cittadini.

Tra questi i più significativi sono:

  • le prenotazioni delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale;
  • il ritiro dei referti relativi a prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale;
  • le autoanalisi e l’autocontrollo, insieme alle campagne di prevenzione, anche su grandi malattie, sul corretto uso dei farmaci;
  • infine, tutte le attività delegate alle farmacie nelle campagne vaccinali.

(Decreto 16 dicembre 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 del 10 marzo 2011; Decreto 16 dicembre 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 90 del 19 aprile 2011; Decreto 8 luglio 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 1 ottobre 2011).

Di recente, con l’emergenza legata alla pandemia da Covid-19, si è aggiunta una serie di nuove funzioni svolte dalle farmacie:

  • Prenotazione ed erogazione dei tamponi antigenici rapidi (legge 30 dicembre 2020, n. 178);
  • somministrazione di vaccini (limitata ai casi con supervisione di medici o assistiti, se necessario, da infermieri o da personale sanitario, consentita in via sperimentale per l’anno 2021).

Il rinnovo della convenzione farmaceutica è stato oggetto di contrasti tra Federfarma, in rappresentanza delle farmacie private, Assofarm, in rappresentanza delle farmacie pubbliche, e SISAC, la Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati. Le trattative sono giunte a uno stallo e sospese.

Le rappresentanze della categoria, infatti, non trovano adeguate le proposte che penalizzano soprattutto il ruolo delle farmacie rurali e svalutano il nuovo modello della Farmacia dei Servizi.

In parte poi si mantengono le posizioni di partenza sui temi più delicati della Convenzione, tra cui:

  • il sistema della distribuzione di farmaci per conto delle Asl (DPC);
  • il diritto di sciopero;
  • la destinazione del Fondo dello 0,15%, da riservare ad attività di formazione dei farmacisti che si occuperanno della somministrazione di test Covid-19 e di vaccini.

L’intero settore, nonostante il suo importante ruolo strategico,  si trova in una situazione di parziale immobilità, nell’attesa che le trattative riprendano e che si possa garantire la fruizione dei servizi farmaceutici e sanitari ai cittadini, nel modo più vantaggioso possibile per le parti in causa e la collettività.

La legislazione farmaceutica, garanzia di sicurezza dei farmaci

L’introduzione recente dei vaccini contro il Covid-19 ha riacceso il dibattito sulla sicurezza dei farmaci distribuiti nell’Unione Europea. In questo articolo, si discute del rigoroso processo di autorizzazione dei prodotti farmaceutici, con particolare attenzione alle diverse modalità di approvazione.

La recente esperienza dell’introduzione dei vaccini contro il Covid-19 ha riportato l’attenzione del pubblico sul tema della sicurezza dei farmaci ad uso umano autorizzati nell’Unione Europea, anche se per questi c’è un tipo di autorizzazione straordinaria valida solo in caso di emergenze.

È proprio da una tragedia, infatti, che nasce la necessità per l’Unione di dotarsi di uno schema autorizzativo che garantisca il pubblico dall’immissione, a volte troppo audace, di nuovi farmaci sul mercato. La legislazione del nostro Paese rientra a pieno titolo nel corpus normativo europeo.

Dalla tragedia del talidomide alla legislazione farmaceutica italiana

La legislazione farmaceutica italiana si inserisce nel più ampio corpus normativo europeo, entrato in vigore nel 1965 con la direttiva 65/CEE all’indomani della tragedia del talidomide, il medicinale contro le nausee mattutine che aveva causato la nascita di oltre 10 mila bambini con gravi malformazioni, anomalie cardiache e problemi cerebrali.

Questo evento fu una delle ragioni principali dell’introduzione della legislazione europea sui prodotti farmaceutici, che ha lo scopo dichiarato di garantire che i medicinali immessi sul mercato siano soggetti a elevati standard di qualità e sicurezza.

Nel cinquantesimo anniversario dalla sua nascita, nel gennaio 2015, la legislazione farmaceutica dell’Unione europea (UE) è stata aggiornata con particolare riguardo ai medicinali per uso umano.

La normativa è integrata da una serie di linee guida focalizzate sulle attività principali del settore farmaceutico.

È grazie a queste norme e al quadro giuridico di riferimento che in Europa vengono garantiti elevati standard di qualità e sicurezza dei medicinali.

Le misure che favoriscono innovazione e competitività in campo farmaceutico

Anche il funzionamento del mercato interno è regolato da misure che ne favoriscono l’innovazione e la competitività, basato sul principio che i medicinali possano essere immessi sul mercato solo a seguito di un’autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti.

Oggi, i medicinali possono essere autorizzati centralmente dalla Commissione europea o a livello nazionale dalle autorità competenti degli Stati Membri.

Nel 1995 fu istituita l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), con lo scopo di condurre la procedura di autorizzazione centralizzata e appoggiare il coordinamento tra le autorità nazionali competenti.

La procedura è valida in tutta l’UE e autorizza l’immissione in commercio dei medicinali con una unica modalità:

•   le aziende farmaceutiche presentano una domanda di autorizzazione all’EMA

•   il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) o il comitato per i medicinali veterinari (CVMP) dell’Agenzia la valutano;

•   se il farmaco viene ritenuto idoneo, la Commissione europea rilascia l’autorizzazione centralizzata all’immissione in commercio, valida in tutti gli Stati membri dell’UE.

La maggior parte dei medicinali autorizzati nell’UE però non rientra nella procedura centralizzata, ma viene presa in carico dalle autorità nazionali competenti (ANC) degli Stati membri.

Un’azienda farmaceutica ha due vie per ottenere l’autorizzazione in più stati europei:

1.  La procedura decentralizzata

Le aziende possono presentare domanda per l’autorizzazione simultanea di un medicinale in più di uno stato membro dell’UE nel caso in cui il medicinale non sia ancora stato autorizzato in alcun paese dell’UE e non rientri nella procedura centralizzata.

2. La procedura di mutuo riconoscimento

Le aziende che dispongono di un medicinale autorizzato in uno degli Stati membri possono richiederne il riconoscimento in altri paesi dell’UE.

Indipendentemente dalla procedura di autorizzazione utilizzata, i requisiti applicabili ai farmaci all’interno dell’UE sono gli stessi.

L’estrema trasparenza sulle modalità operative e decisionali adottate è una caratteristica fondamentale del processo di autorizzazione.

Per ogni medicinale approvato o meno per il commercio, viene rilasciata una relazione pubblica di valutazione (EPAR) e lo stesso avviene per i medicinali autorizzati dagli Stati membri.

A garanzia della trasparenza, le informazioni sulla valutazione sono sempre consultabili all’interno di un report pubblico.

L’incompatibilità medico – farmacista: una questione aperta

L’incompatibilità tra la professione di medico e di farmacista è ancora ampiamente discussa nel mondo giuridico. Questo articolo è una panoramica sulla situazione attuale, dalle prime sentenze alle più recenti scelte del Legislatore.

L’incompatibilità tra la professione medica e quella del farmacista è circostanza ben nota nel mondo giuridico ed è disciplinata nel nostro ordinamento dagli articoli 7 e 8 della Legge 362/1991 (Norme di riordino del settore farmaceutico). Secondo queste norme, la partecipazione alle società di farmacia non è conciliabile con l’esercizio della professione medica. 

In parole povere, un medico non può essere titolare o socio di una farmacia

Le motivazioni di questa scelta del Legislatore sono da ricercare nel conflitto di interessi che si potrebbe creare esercitando al contempo l’attività di prescrizione e quella di dispensazione dei medicinali.

Il divieto è dunque considerato necessario per preservare la salute pubblica e il corretto svolgimento del servizio farmaceutico.

Su questa questione e sulla sua interpretazione sono però in corso alcuni mutamenti, sino dalla approvazione della legge n. 124 del 2017 con la quale è stato concesso alle società di capitali di diventare titolari dell’esercizio di una farmacia. I dubbi e i quesiti sollevati tra questa disposizione e l’istituto dell’incompatibilità, si riferiscono in particolare al “se” e con quali limiti «la partecipazione alle società di farmacia è incompatibile… con l’esercizio della professione medica».

Secondo la stesura letterale della norma, infatti, l’incompatibilità riguarderebbe solo il socio persona fisica, ma per gli interpreti è inevitabile chiedersi se non si estenda invece anche alle società che svolgono attività sanitaria in senso più ampio, o ancora alle società nel cui organo amministrativo siedano componenti che svolgono attività medico-sanitaria.

Di recente, la questione è stata oggetto di interesse del Tar Marche, che si è espresso con la sentenza n. 106 del 9 febbraio 2021.

I giudici hanno ritenuto che la partecipazione societaria di una casa di cura alla società di gestione della farmacia fosse incompatibile con l’esercizio della professione medica esercitata dalla stessa casa di cura per violazione dell’art. 7 citato. Per il Tribunale è “indubbio che la partecipazione di un medico in un organo a cui spetta la gestione della società, che a sua volta è socio unico della società titolare di farmacia, non esclude quella commistione fra gestione di una farmacia e gestione diretta o indiretta di attività medica che può dar vita ad un potenziale conflitto di interessi”.

Dunque la società controllante, che gestisce una casa di cura e un ambulatorio medico, svolge indubbiamente attività medico-sanitaria. Si conferma come sia il potenziale conflitto di interessi che porta il Giudice amministrativo all’estensione dell’incompatibilità ad altra società, diversa da quella titolare di farmacia.

La terza sezione, con una sentenza non definitiva di fine dicembre 2021, ha posto al vaglio dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato l’interpretazione di queste norme. Non resta che attendere la pronuncia conclusiva su questa sottile questione.