DDL Concorrenza le raccomandazioni di AGCM sulle misure di assortimento minimo dei farmaci

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nel 2021 ha sollecitato l’abolizione della norma (l’articolo 105 Dlgs 219/2006 ), che impone ai grossisti farmaceutici di detenere almeno il 90% di tutte le specialità medicinali autorizzate in commercio.

Il DDL Concorrenza, nel testo in votazione al Senato, ha recepito l’indicazione e prevede la soppressione della percentuale fissa del 90%.

La novella prevede, in particolare, che i grossisti siano tenuti a detenere un assortimento di:

  • medicinali oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio e ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale
  • inclusi tra questi anche i medicinali generici
  • i medicinali omeopatici rientranti in uno specifico regime di autorizzazione

in una misura che risponda alle esigenze del territorio a cui sia riferita l’autorizzazione alla distribuzione all’ingrosso, che secondo l’art. 100 Dlgs 219/2006, sono la Regione o la Provincia autonoma dove ha sede il magazzino del grossista.
Le esigenze del territorio saranno valutate dalla stessa Regione o Provincia autonoma sulla base degli indirizzi vincolanti forniti dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

La rimozione di ostacoli alla concorrenza nel settore della distribuzione dei farmaci

L’AGCM considera infatti la rimozione di questo limite come una misura di favore per la concorrenza perché non è stata sufficiente a contrastare l’indisponibilità territoriale dei medicinali, un fenomeno sempre più ricorrente e preoccupante per la collettività.

L’abolizione della misura, secondo l’Autorità, importerebbe minori restrizioni alle dinamiche concorrenziali e consentirebbe innovazioni di processo e incrementi di efficienza, senza compromettere il primario interesse della salute dei cittadini.

In questa ottica l’obbligo normativo di assortimento minimo, così come è formulato ora, in misura percentuale fissa, implica per i distributori all’ingrosso una notevole rigidità operativa che impedisce forme più efficienti e flessibili di organizzazione imprenditoriale.

Altri profili critici, oltre all’assortimento minimo, nella filiera di distribuzione dei farmaci

Probabilmente sarebbe più efficiente perseguire l’obiettivo della tempestività delle forniture dei medicinali sul territorio intervenendo sulle tempistiche massime di fornitura.

Queste sono già previste dallo stesso articolo che impone la fornitura del prodotto farmaceutico entro dodici ore dalla richiesta.

Anche volendo mantenere l’obbligo di dotazione minima di magazzino imposta, questo limite potrebbe essere configurato su quantità commisurate in maniera flessibile sulle esigenze ordinarie del territorio e non più in una misura percentuale fissa.

Se la norma fosse approvata in questa formulazione dal Senato, resterebbero da capire i dettagli organizzativi, come ad esempio, la determinazione della cadenza con la quale l’Autorità Regionale o Provinciale dovrebbe comunicare ai grossisti le variazioni delle esigenze e il limite temporale entro il quale i grossisti dovrebbero adeguarsi a questo cambiamento.

Le significative diversità tra Regioni o Provincie autonome, in termini di efficienza poi, potrebbero tradursi in appesantimenti gestionali per i distributori, che sono tutti da valutare.

Una parte del quadro resta immutato: la distribuzione di sostanze medicinali obbligatori

Anche quando dovesse essere eliminato il dovere di assortimento minimo, resta immutato il dovere del grossista di detenere i medicinali di cui alla tabella n. 2 allegata alla Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana, che elenca le sostanze medicinali la cui detenzione da parte delle farmacie è obbligatoria.

Gli obblighi di detenzione minima infatti non si applicano agli importatori di medicinali o a coloro che distribuiscono esclusivamente:

  • sostanze attive o gas medicinali;
  • medicinali utilizzabili soltanto in ambiente ospedaliero o in strutture assimilabili;
  • medicinali utilizzabili esclusivamente dallo specialista;
  • medicinali non soggetti a prescrizione e medicinali di cui il medesimo soggetto detenga;
  • l’autorizzazione all’immissione in commercio o la concessione di vendita.

In questo momento, di difficoltà già grave, a causa dell’aumento ormai fuori controllo dei costi energetici, resta l’impressione che un aggravamento della burocrazia legata all’attività di distribuzione non possa che danneggiare una filiera già messa a dura prova dal periodo pandemico e dalla crisi economica.

 

avvocato Samuele Barillà

Amazon entra nel settore sanitario, ma in Italia restano le difficoltà

Amazon ha reso ufficiale l’acquisizione di One Medical, il servizio sanitario online, per 3,9 miliardi di dollari.

di Samuele Barillà

La Big Tech dell’e-commerce, con l’acquisizione del portale One Medical potrà accedere alla rete di studi medici che negli Stati Uniti utilizzano la tecnologia di prenotazione online e telemedicina, per fornire, grazie alla App, prestazioni mediche sia di persona che virtuali ai pazienti. L’assistenza viene fornita sia a coloro che sono abbonati al servizio, sia ai dipendenti delle aziende che hanno sottoscritto appositi accordi con One Medical.

Il trasferimento non è ancora definitivo, manca l’approvazione da parte degli azionisti di One Medical e il verificarsi di altre condizioni. Questa acquisizione evidenzia il costante aumento dell’interesse di Amazon per il business sanitario; interesse già emerso negli ultimi anni. Dal 2020 Amazon vende farmaci online e nel 2021 ha attivato il servizio di telemedicina “Amazon Care” per le aziende.

 

La strategia di Amazon nel settore sanitario

Neil Lindsay, vicepresidente senior Amazon Health Services, nel comunicato stampa con il quale il brand ha diffuso la notizia, ha chiarito la strategia a lungo termine di Amazon nel settore sanitario.

«Riteniamo che l’assistenza sanitaria sia in cima alla lista delle esperienze che hanno bisogno di essere reinventate. Prenotare un appuntamento, aspettare settimane o addirittura mesi per essere visitati, prendere una pausa dal lavoro, guidare verso una clinica, trovare un parcheggio, attendere in sala d’attesa, sottoporsi all’esame che troppo spesso si riduce in un incontro di pochi minuti col medico, e poi recarsi in farmacia: vediamo molte opportunità sia per migliorare la qualità dell’esperienza, sia per restituire alle persone tempo prezioso delle loro giornate».

Insieme all’approccio all’assistenza sanitaria incentrato sull’uomo e basato sulla tecnologia di One Medical, Amazon sostiene di voler aiutare le persone a ricevere cure migliori, quando e come ne hanno bisogno.

Che l’assistenza sanitaria abbia notevoli potenzialità di miglioramento e di espansione e, quindi, di ricadute positive in termini economici sugli operatori del settore, trova conferma nell’effetto che la acquisizione di One Medical ha avuto in Borsa. Gli investitori hanno premiato la nuova iniziativa di Amazon facendo guadagnare al titolo di 1Life Healthcare, che detiene One Medical, il 68% a seguito dello scambio di azioni a 17,13 dollari.

 

La vendita di farmaci online in Italia

Apparentemente l’azienda ha intercettato le lacune di un settore in costante affanno, non solo negli Stati Uniti. È verosimile che l’esperienza statunitense possa essere replicata positivamente anche in Italia dove si registrano notevoli difficoltà nell’assistenza sanitaria.

Neil Lindsay, responsabile di Amazon Health Care ha osservato che si assiste alla costante crescita del fenomeno dell’addomesticamento tecnologico degli utenti dei servizi, indotto anche dalle politiche legislative che tendono a favorirlo.

La normativa sulla vendita online dei farmaci è stata introdotta nel nostro Paese con il Decreto legislativo n. 17 del 2014, in attuazione della direttiva del Parlamento europeo 2011/62/UE . L’argomento è già trattato in questo articolo.

Al momento gli ostacoli normativi impediscono alla piattaforma di Amazon di espandersi nel nostro Paese. Il primo e più pregnante è quello rappresentato dall’art. 112 quater del Decreto Legislativo 219 del 2006.

I farmaci da automedicazione e quelli vendibili senza prescrizione, che vengono chiamati OTC e SOP possono essere venduti dagli esercizi autorizzati (farmacie e parafarmacie), soltanto sui siti di loro proprietà, certificati da un bollino rilasciato dall’Unione Europea che rimanda alla scheda online depositata al ministero della Salute da parte dello stesso esercizio.

Durante un’audizione davanti alla Commissione Industria del Senato del febbraio 2022 il presidente del consorzio Netcomm, Roberto Liscia, ha presentato un pacchetto di integrazioni al disegno di legge Concorrenza dirette ad agevolare lo sviluppo del commercio online dei farmaci. Tra queste, anche la modifica del citato articolo (112-quater del d.lgs 219/2006), in modo da permettere a farmacie e parafarmacie di vendere i farmaci senza ricetta «anche su siti web intermediari e piattaforme per l’e-commerce».

Liscia ha chiarito alla Commissione, che «si potrebbero ridurre i costi di transazione e consentire ai venditori l’accesso a una più vasta platea di consumatori».

Il consorzio Netcomm è un sodalizio di oltre 400 imprese attive nel campo dell’e-commerce della trasformazione digitale. Tra i suoi soci ci sono colossi dell’online come Amazon, Alibaba Italy ed eBay, ma anche nomi familiari al mondo della farmacia come Apoteca Natura, Angelini, eFarma by Atida, Farmacentro, Farmaè, Farmacia Loreto Gallo (l’e-commerce di Farmacie Italiane), Msd, Mylan, Shop Farmacia (l’olandese Shop Apotheke).

 

Il divieto di Dropshipping in Italia

Il trasporto dei medicinali venduti online deve essere effettuato nel rispetto delle linee guida in materia di buona pratica di distribuzione, attualmente contenute nelle norme in vigore (Decreto Ministero della Salute 6 luglio 1999, in attesa del recepimento delle nuove Linee Guida europee del 5 novembre 2013).

Il dropshipping altro non è che la vendita di un prodotto senza possederlo materialmente nel proprio magazzino. Questa pratica è vietata; la farmacia ha l’obbligo di vendere online solo i farmaci che abbia acquistato con il proprio codice univoco e che siano conservati presso il proprio magazzino. Se il medicinale richiesto online dal cliente non è più disponibile in magazzino, il farmacista dovrà, prima di spedirlo, entrarne materialmente in possesso, ma non potrà chiedere al grossista di recapitarlo direttamente al cliente.

Questa condizione si applica anche alle farmacie che detengono la licenza a operare in qualità di distributore intermedio.

Il Sunshine Act è legge, ma ancora non decolla

# sunshine act

In un mondo in cui le operazioni di marketing delle aziende farmaceutiche sono fin troppo pubblicizzate e sbandierate, davvero si sentiva una esigenza di trasparenza, che perdipiù pone oneri a carico degli operatori privati? Ad una prima lettura il Sunshine Act lascia alcune perplessità

Promulgata il 31 maggio ed entrata in vigore il 26 giugno 2022, la Legge 62/2022, già ribattezzata dagli addetti ai lavori Sunshine Act, contiene disposizioni sulla trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie, per la prevenzione e il contrasto della corruzione e del degrado dell’azione amministrativa.

Pubblicità delle erogazioni, delle convenzioni e degli accordi che coinvolgono le aziende farmaceutiche nel Sunshine Act

Il fulcro della norma è certamente il dovere di dare pubblicità alle erogazioni, convenzioni e accordi intercorrenti con le aziende sanitarie, che alcuni interpreti hanno ribaltato in un “diritto (pubblico) alla conoscenza dei rapporti”.

La legge dichiara soggette a pubblicità le convenzioni e le erogazioni in denaro, beni, servizi o altre utilità effettuate da un’impresa produttrice in favore:

  1. di un soggetto che opera nel settore della salute (valore tra €100 e €1.000);
  2. di un’organizzazione sanitaria (valore superiore ai €1.000 euro unitari o € 2.500 annui);
  3. gli accordi tra le imprese produttrici e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie, che producano vantaggi diretti o indiretti come la partecipazione a convegni, eventi  formativi, comitati, commissioni, organi consultivi o comitati scientifici o ancora la costituzione di rapporti di consulenza, docenza o ricerca.

Le modalità di comunicazione sono previste dallo stesso articolo 3 della legge che anticipa la costituzione, entro 6 mesi dalla entrata in vigore (quindi intorno al Natale del 2022), del Registro pubblico telematico denominato «Sanità trasparente», che verrà varato con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

A quanto pare, dunque, anche l’obbligo di comunicazione è prorogato a quel momento.

Se la ratio è chiara, non lo sono altrettanto le definizioni né dei soggetti tenuti, né di quelli che sarebbero beneficiari delle dazioni, convenzioni o accordi. Questo fa temere, legittimamente, che la norma solleverà dubbi interpretativi nel momento della reale applicazione.

Comunicazione delle partecipazioni azionarie e obbligazionarie

Più pregnante dell’obbligo di pubblicità di convenzioni, accordi e dazioni è quello previsto dall’art.4 che dispone, a carico delle imprese produttrici che siano costituite in forma societaria di comunicare al Ministero della salute entro il 31 gennaio di ogni anno, i dati identificativi dei soggetti che operano nel settore della salute e delle organizzazioni sanitarie che:

  1. siano titolari di azioni o di quote del capitale della società o titolari di obbligazioni emesse, o iscritti per l’anno precedente nel libro dei soci o nel libro delle obbligazioni;
  2. abbiano percepito dalla società, nell’anno  precedente, corrispettivi per la concessione di licenze per l’utilizzazione economica di diritti di proprietà industriale o intellettuale.

L’onere di pubblicazione riguarda non solo i nomi, ma anche il valore corrispondente ad azioni, obbligazioni o proventi da proprietà intellettuale.

La legge fa discendere dal fatto stesso della titolarità di azioni od obbligazioni o dalla percezione di corrispettivi per la proprietà intellettuale, l’assenso a darne pubblica notizia ai sensi delle norme sulla privacy dei dati.

Il registro pubblico telematico «Sanità trasparente»

Il registro pubblico telematico sarà sostanzialmente un sito internet costruito secondo criteri di semplice usabilità e facilità di accesso, che adotti criteri comprensibili e omogenei per la presentazione dei dati e preveda funzioni di ricerca semplici ed efficienti per l’estrazione dei dati.

Il sito infatti sarà liberamente accessibile per la consultazione e provvisto di funzioni per la ricerca e l’estrazione delle comunicazioni, dei dati e degli atti secondo gli standard degli open data.

Le comunicazioni pubblicate saranno consultabili per cinque anni dalla data della pubblicazione, termine dal quale, una volta decorso, dipenderà la cancellazione dal registro.

Gli effetti imprevedibili del Sunshine Act sul marketing farmaceutico

Ora che l’applicazione concreta non è ancora avviata, all’interprete resta qualche curiosità.

È singolare la scelta legislativa di cercare realizzare trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione ponendo un onere a carico dei privati e non invece sugli operatori del Servizio sanitario.

Solo le imprese devono comunicare i dati relativi agli accordi e convenzioni in base alla nuova legge, tra questi anche i dati personali delle controparti e dei soggetti che operano nel settore salute. Rispetto a questi dati le imprese sono inoltre tenute alla veridicità, pena le elevate sanzioni amministrative e sempre che il fatto non costituisca reato.

 L’esercizio del corrispondente diritto (alla trasparenza), da parte dei cittadini è poi limitato a fruire di quanto risulta dal registro.

Da ultimo incuriosiscono i riflessi che la norma avrà sul variegato mondo del marketing farmaceutico, ora affollato da iniziative di ogni tipo, come il co/branding tra produttori e distributori.

In un mondo in cui le operazioni di marketing sono fin troppo pubblicizzate e sbandierate, davvero si sentiva una esigenza di trasparenza, perdipiù perseguita ponendo oneri a carico degli operatori privati?

 

avvocato Samuele Barillà

Il farmacista può eseguire tamponi antigenici Covid-19 anche in parafarmacia

Non commette esercizio abusivo della professione il farmacista che esegue tamponi antigenici Covid 19 in parafarmacia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22434 del 8 giugno 2022, ha escluso che il farmacista che esegue tamponi antigenici, per la diagnosi del Covid 19, all’interno di una parafarmacia, commetta il reato di esercizio abusivo della professione.

Il farmacista esegue tampone Covid in una parafarmacia

L’art. art. 348 del Codice penale punisce l’esercizio abusivo della professione per cui sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Commette il reato colui che svolge, senza titolo abilitativo, una delle attività riservate ad una data categoria professionale.
Le farmacie (e dunque i farmacisti) sono stati abilitati per legge ad eseguire i tamponi per il rilevamento del Covid-19, in piena pandemia, con la Legge n. 78/2000.

La norma prevede che le farmacie, dotate di uno spazio fisico riservato ed idonee a garantire la riservatezza, possano effettuare i tamponi in questione con il relativo contributo statale.

Il farmacista abilitato che ha presentato il ricorso in Cassazione, si era visto contestare l’abusivo svolgimento della professione per la ragione che eseguiva i tamponi fuori dalla farmacia, in un esercizio commerciale, diverso dalla farmacia: la parafarmacia.

Nella norma di emergenza si parla in effetti solo di farmacie, ma il ricorrente ha fatto notare come la previsione volesse solo assicurare che la gestione dei test fosse affidata ad un farmacista, così come la comunicazione dei risultati alle autorità sanitarie preposte.

La decisione della Corte di Cassazione sui tamponi Covid eseguiti in parafarmacia

La Cassazione ha accolto la tesi del ricorrente e riconosciuto che essendo farmacista potesse praticare i test antigenici e non commettesse alcun abuso.

La Corte, per giungere a questa conclusione ha ricordato quale sia il bene tutelato dalla norma penale contro l’abuso, cioè: «la tutela l’interesse generale a che determinate professioni, richiedenti particolari requisiti di probità e competenza, vengano esercitate da chi, avendo conseguito una speciale abilitazione amministrativa, risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge».

Quella di farmacista è una delle professioni a cui si arriva con il conseguimento del titolo abilitativo e con l’iscrizione al relativo albo professionale.

Con specifico riferimento ai test antigenici poi, il Governo ha stabilito, con decreto poi convertito in legge [Decreto Legge n. 52 del 2021, convertito con modificazioni dalla Legge 87 del 2021] che i tamponi possono essere eseguiti da “operatori sanitari o da altri soggetti reputati idonei dal Ministro della Salute”, e quindi anche dai farmacisti.

La norma emessa durante l’emergenza pandemica, secondo la Corte, consente la somministrazione di test antigenici nelle farmacie che abbiano determinati standard organizzativi e così facendo inserisce una nuova attività tra quelle rientranti nella professione di farmacista, per l’appunto l’erogazione dei test.

La Corte ha, infatti, evidenziato come la norma miri a realizzare due finalità che nulla hanno a che vedere con l’interesse garantito dalla norma penale; esse sono la sicurezza e riservatezza dell’erogazione e il rispetto di «determinati equilibri di tipo economico, con riguardo agli esborsi richiesti alla platea dei fruitori del servizio».

Le conseguenze della decisione sui tamponi Covid eseguiti dal farmacista in parafarmacia

La violazione della norma che riserva i test antigenici alle farmacie, può avere conseguenze in termini di responsabilità, ma non certamente conseguenze penali, perché non definisce la condotta di abusivo esercizio della professione previsto dall’articolo 348 del Codice Penale, questa la pacifica conclusione.

Alcuni commentatori hanno però dato una interpretazione, per così dire ampia delle conseguenze a cui porterebbe questa sentenza.

Un approccio più prudente sembra però preferibile, sia per aderenza alle scelte normative, sia come corollario logico nel caso specifico.

Queste conseguenze non possono essere il segno di una apertura generalizzata alla somministrazione di test antigenici o allo svolgimento di attività di competenza del farmacista in ambiti diversi dalla farmacia.

La sentenza deve essere letta come un atto circoscritto all’ambito penale e allo specifico caso concreto.

Non ha infatti intaccato l’impianto normativo che delimita l’esercizio delle attività riservate ai farmacisti nei locali della farmacia. Ha espresso solo il principio che l’esecuzione dei test in farmacia, previsto dalla norma emergenziale, non vale a definire la condotta di rilevanza penale di abusivo esercizio della professione.

La Corte inoltre, ha deciso di non sottoporre alla Corte Costituzionale il rilievo, pure sollevato dal ricorrente, di illegittimità costituzionale della normativa emergenziale e ha paventato altri profili di responsabilità, diversi da quelli penale, connessi alla somministrazione del test nelle parafarmacie.

L’esercizio delle attività, riservate al farmacista, in ambiti diversi dalla farmacia rappresenta una questione dibattuta da tempo.

In questo post di Linkedin, si riporta la notizia che il TAR Marche, con ordinanza n. 7/2022, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale proprio della riserva alle sole farmacie dei tamponi anti-covid.

La linea dell’apertura alla esecuzione dei test nelle parafarmacie potrebbe costituire il volano per legittimare l’erogazione – al loro interno – di altre prestazioni per le quali fossero abilitati i farmacisti e non fosse richiesta la prescrizione medica.

Le ripercussioni sono importanti, in termini concorrenziali e quindi economici, sulla attività delle farmacie, e questa interpretazione sarebbe in controtendenza con la valorizzazione non solo del ruolo del farmacista, ma anche della funzione della farmacia, quale presidio territoriale del SSN, nell’ambito del progetto della “Farmacia dei servizi” tuttora in via di attuazione come ricaduta del PNRR.

 

avvocato Samuele Barillà


In questo post di Linkedin, si riporta la notizia che il TAR Marche, con ordinanza n. 7/2022, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale proprio della riserva alle sole farmacie dei tamponi anti-covid.

Le carenze di farmaci tra obbligo di fornitura e monitoraggio del mercato

Con la prima riunione del gruppo esecutivo dell’EMA Medicines Shortages Steering Group (MSSG),del 17 maggio si ripropone una riflessione sull’obbligo i fornitura per i distributori e del potenziale conflitto con le legittime scelte imprenditoriali.

Riunito il gruppo europeo sulla carenza di farmaci

Il nuovo gruppo esecutivo dell’EMA, Medicines Shortages Steering Group (MSSG), si è riunito per la prima volta lo scorso 17 maggio 2022.

Il gruppo, nato per rispondere concretamente ai problemi che incidono sulla qualità, la sicurezza, l’efficacia e la fornitura dei medicinali durante le emergenze di salute pubblica è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro dell’Unione Europea, un rappresentante della Commissione europea e un rappresentante dell’EMA.

Qualche giorno fa la stessa EMA ha dato approvazione al primo elenco dei farmaci considerati critici per l’emergenza sanitaria da Covid-19, in modo da valutarne tempestivamente la eventuale carenza e fare in modo che offerta e domanda siano monitorate.

L’elenco contiene sia i vaccini, sia le terapie approvate nell’Unione europea contro il Coronavirus.

I titolari delle autorizzazioni all’immissione in commercio (AIC), dei medicinali inclusi nell’elenco saranno tenuti a comunicare all’EMA i dati sulle carenze potenziali o effettive e sulle scorte disponibili, le previsioni dell’offerta e della domanda. Gli Stati membri sono tenuti a fornire relazioni periodiche sulla domanda stimata di questi medicinali a livello nazionale.

Gli obblighi verso i distributori di farmaci

L’art. 1 comma 1 lett. s Dlgs 219/2006, attuativo della Delibera europea 2001/83/CE, definisce l’obbligo di servizio pubblico con queste testuali parole:

«l’obbligo per i grossisti di garantire in permanenza un assortimento di medicinali sufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio geograficamente determinato nei limiti di cui i predetti medicinali siano forniti dai titolari di AIC, e di provvedere alla consegna delle forniture richieste in tempi brevissimi su tutto il territorio in questione».

Il problema se la carenza di un farmaco si trasformi per il grossista in un obbligo di fornitura è da tempo sul tappeto e oggetto di confronto nel settore.

Alcuni fanno discendere dalla definizione fornita dal Decreto Legislativo un obbligo del grossista di fornire i medicinali a richiesta. Questo approccio ha creato tensioni tra grossisti e farmacisti.

In molti casi il dubbio è stato risolto facendo prevalere la libertà di strategia commerciale del grossista che può anche decidere di non approvvigionarsi di una determinata specialità, se la reputa non conveniente e non può essere obbligato a fornirla o subire una sanzione se non lo fa.

La vera natura dell’obbligo di fornitura di farmaci carenti

In generale non è sufficiente una carenza temporanea a imporre l’obbligo di fornitura, ma l’accertamento può riguardare solo i medicinali oggetto di specifici provvedimenti motivati.

Fermo questo concetto, è lecita la domanda se sia possibile per un grossista praticare forme di distribuzione selettiva, o se invece l’imprenditore sia costretto a fornire sempre e comunque la specialità medicinale oggetto di provvedimento.

L’interpretazione più accreditata vuole che il legislatore abbia inteso sanzionare solamente l’attività che pone in pericolo la presenza della specialità sul territorio e non limitare la libera scelta di esercizio dell’attività commerciale.

Quella sanzionata è dunque la condotta pianificata esclusivamente con lo scopo e con la capacità di impedire la distribuzione dei farmaci carenti.

Il grossista è tenuto a mantenere l’assortimento nei limiti in cui medicinali vengano a forniti dai titolari di Autorizzazione all’immissione in commercio (AICI), sottrarli alla distribuzione configurerebbe invece una violazione perseguibile.

 

avvocato Samuele Barillà

Nuovi servizi farmaceutici, la Liguria parte per prima

La Regione Liguria annuncia che dal 1° luglio 2022 partirà la sperimentazione delle nuove attività e dei nuovi servizi farmaceutici in attuazione degli accordi nazionali approvati in Conferenza Stato-Regioni grazie a finanziamenti per oltre 1,5 milioni di Euro.

 

Anche la sperimentazione annunciata dalla Regione Liguria si inserisce nell’ambito delle più ampie previsioni di crescita del modello di sanità territoriale prefigurato dal PNRR. Rimane, tuttavia, irrisolto il nodo della coesistenza con le case di comunità

Le ricadute, in termini di specializzazione dell’attività delle farmacie, otterranno probabilmente l’effetto di rafforzare la loro presenza sul mercato, che sul fronte della dispensazione di farmaci e di altri prodotti sanitari sta affrontando una completa ridefinizione.

I nuovi servizi erogati in farmacia rientrano negli obiettivi del PNRR

Le seicento farmacie territoriali liguri erogheranno quindi dieci nuove prestazioni sanitarie, a partire dal mese di luglio 2022.

Tra queste spiccano:

  • la gestione del cambio del medico di famiglia;
  • l’accesso al fascicolo sanitario elettronico;
  • i monitoraggi terapeutici per diverse patologie;
  • misurazione di Holter pressorio, Holter cardiaco, Ecg;
  • prelievo di sangue capillare per la misurazione della glicemia e dell’emoglobina glicata;
  • analisi per la prevenzione del tumore al colon.

Il cronoprogramma elaborato dalla commissione regionale per la farmacia dei servizi, approvato dalla giunta regionale, stabilisce inoltre le tappe successive di avvio di nuovi servizi.

Dal 1 ottobre partiranno i monitoraggi e il percorso terapeutico per i primi 400 pazienti campione affetti da BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (Bpco) e la misurazione dell’auto spirometria su 5600 pazienti.

Con loro, sempre dal 1° ottobre, si avviano il monitoraggio di un gruppo di cinquemila pazienti affetti di ipertensione, di 2400 pazienti afflitti da diabete di tipo 2 e lo screening di 5400 pazienti a rischio.

Dall’anno prossimo poi cominceranno i monitoraggi in farmacia dei primi 350 pazienti che seguono terapie continue per patologie croniche od oncologiche.

Già con la pandemia era stato valorizzato il ruolo delle farmacie

Questi servizi si aggiungono a quelli già erogati dalle farmacie per le vaccinazioni anti-Covid e antinfluenzali, che continueranno a essere offerti anche dopo la fine dell’emergenza, in attuazione dell’accordo quadro tra le associazioni di categoria, le regioni e province autonome, a seguito della previsione contenuta nella legge di bilancio 2021 e nel «DL sostegni».

L’approvazione del Cronoprogramma svincola l’utilizzo, in Liguria, dei finanziamenti assegnati alla regione per oltre 1,5 milioni di euro.

Le 600 farmacie territoriali della Liguria potranno partecipare a una o più sperimentazioni e i farmacisti che aderiranno ai progetti dovranno seguire un percorso formativo organizzato dagli Ordini provinciali dei farmacisti.

I temi coperti dalla formazione riguarderanno l’aderenza alle terapie, la fragilità dei pazienti cronici, la loro presa in carico e le tecniche di farmacovigilanza.

 

avvocato Samuele Barillà

Il Consiglio di Stato approva lo schema di DL sullo sviluppo territoriale del Servizio Sanitario Nazionale

Il Consiglio di Stato ha dato parere favorevole allo schema di decreto sullo sviluppo territoriale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ma ha posto alcune questioni di merito e di forma che è interessante notare.

Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale, un obiettivo del PNRR

Il Ministero della salute ha trasmesso al Consiglio di Stato lo scorso 22 aprile 2022 (con propria nota prot. n. 6972), lo schema di decreto «Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale» per acquisirne il parere.

La Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del CdS, ha esaminato il provvedimento e tutti gli allegati ed è arrivata, nell’adunanza del 10 maggio 2022, a dichiarare che gli intenti e gli obiettivi della norma sono condivisibili, così come le scelte strategiche e che sia comprensibile per ragione di urgenza, la scelta del Governo di rinviare a provvedimenti successivi alcune norme di dettaglio anche se importanti.

Clicca qui per leggere il Testo del parere consultivo del Consiglio di Stato.

La Sezione è arrivata così a esprimere il proprio parere positivo, ma ha sollecitato alcuni provvedimenti di riordino della stesura e della normativa complessiva del settore, arrivando a proporre al Governo di realizzare un Testo Unico sulla salute.

Gli obiettivi dichiarati del PNRR per l’assistenza territoriale

Il disegno di riforma fa parte dei provvedimenti che il nostro Governo ha inserito nei provvedimenti di attuazione degli obiettivi indicati dal PNRR (M6 – C1- Riforma Reti di prossimità strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale) e delinea un modello organizzativo dell’assistenza sanitaria territoriale, definito antropocentrico, che prevede rimodulazione di servizi e prestazioni sanitarie il più possibile in prossimità dei pazienti, tanto da arrivare al loro domicilio.

La declinazione dei diversi servizi e delle prestazioni erogate tiene conto dei diversi contesti territoriali nei quali nasceranno le Case della Comunità, gli Ospedali di comunità e altre strutture intermedie.

L’articolazione dei servizi vuole anche fornire risposte efficaci al bisogno di una rete assistenziale territoriale alternativa allo schema ospedale/pronto soccorso e ovviare concretamente ai principali problemi critici dell’attuale modello organizzativo:

  • alla mancanza di un’erogazione uniforme dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA),nei distretti dell’intero territorio nazionale;
  • ai limiti dello sviluppo della rete territoriale, in particolare nelle regioni meno virtuose;
  • alla scarsa flessibilità dell’assistenza alle persone in condizioni di fragilità, cronicità patologica e disabilità.

Il testo di riforma si pone in linea con le indicazioni del documento emanato dall’OCSE nel 2019: «Realising the Full Potential of Primacy Health Care», che indica obiettivi, di grande importanza strategica per il rinnovamento del servizio sanitario:

  • definizione del nuovo modello organizzativo per la rete di assistenza primaria, grazie all’individuazione uniforme a livello nazionale di standard strutturali, tecnologici e organizzativi;
  • introduzione di un sistema di governance territoriale per la gestione dei bisogni socio-assistenziali che faciliti l’individuazione delle priorità di intervento e la massima integrazione tra le reti assistenziali territoriali, ospedaliere e di specialità;
  • favore per la continuità delle cure alle persone con patologie croniche o che si trovano in condizioni di fragilità e disabilità con rischio di non autosufficienza grazie all’integrazione tra il servizio sociale e quello sanitario;
  • creazione assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario ambientale e climatico;
  • attuazione di strategie che perseguono standard qualitativi di cura in linea con i migliori Paesi europei;
  • inclusione del Servizio Sanitario Nazionale in un più ampio sistema di welfare sanitario.

Farmacia organizzata in più locali separati, farà discutere la sentenza del Consiglio di Stato

# farmacia locali separati

Una farmacia comunale amplia l’attività in un locale separato, la vicenda arriva al Consiglio di Stato che enuncia un principio destinato a far discutere.

La vicenda nasce a Ferrara, dove una farmacia comunale non potendo ampliare gli spazi in cui esercita la propria attività, ne reperisce di nuovi in un locale separato, a breve distanza da quello principale.

Il Sindaco autorizza l’apertura con proprio atto: «esclusivamente l’espletamento delle attività di vendita parafarmaci, prenotazioni CUP ed eventuali futuri servizi nel rispetto della vigente normativa in materia di “Farmacia dei servizi” in premessa richiamata». (Provvedimenti sindacali del 10 e 11 aprile 2014 Comune di Ferrara).

L’autorizzazione viene impugnata dal titolare di una farmacia privata e il Tribunale Amministrativo dell’Emilia Romagna respinge il ricorso, ma la sentenza (n. 486 del 2018), viene nuovamente appellata avanti il Consiglio di Stato.

La farmacia come entità unica non frazionabile

Tra le questioni sollevate, la principale riguarda il contrasto col principio che la farmacia costituisca un’entità unica non frazionabile.

Tra le principali obiezioni a questo motivo di doglianza, il Comune di Ferrara sostiene che l’ampliamento è stato espressamente autorizzato solo per le attività che esulano quella riservata di dispensazione dei farmaci di fascia A e quindi il secondo locale non può essere considerato come un esercizio in grado di fare concorrenza a una farmacia.

Questa posizione è sostanzialmente condivisa dal Tribunale Amministrativo Regione Emilia Romagna e Consiglio di Stato che decide con sentenza n. 2913 del 19 aprile 2022 di respingere l’appello e confermare la decisione del TAR che sanciva la legittimità della autorizzazione del Sindaco di Ferrara.

Organizzazione di laboratorio galenico, un’altra storia

In passato il Consiglio di Stato aveva già affermato il principio che la farmacia potesse organizzare l’attività del laboratorio galenico in locali separati da quelli adibiti alla dispensazione dei farmaci (Sentenza 6745 dell’8 ottobre 2021).

In questo caso lo stesso Ministero della Salute voleva negare l’utilizzo di locali fisicamente separati dalla farmacia anche se destinati a una attività (quella di preparazione galenica), connessa alla prima ma non aperta al pubblico.

La norma sul contingentamento delle sedi farmaceutiche (art. 1 della L. 2.4.1968 n. 475) che è stata richiamata in entrambi i processi, è concepita per uno scopo preciso, cioè garantire l’equo accesso ai servizi per tutta la popolazione.

Il numero di autorizzazioni è proporzionale agli abitanti di ciascun comune e prevede una farmacia ogni 3.300 residenti e autorizza ulteriori aperture solo quando l’incremento della popolazione supera il 50% di questo parametro (dunque 1750 abitanti in più).

Questo numero, così come l’ubicazione delle sedi nelle relative zone urbane viene rivisto dai comuni ogni due anni sulla base delle rilevazioni ISTAT.

La dimensione e le caratteristiche dei locali, l’eventuale spostamento fisico delle farmacie, così come la distanza tra i locali autorizzati all’esercizio, sono tutte stabilite da norme di vario rango e sottoposte a vincoli e autorizzazioni

L’espressione “locale annesso” in caso di ampliamento di una farmacia, utilizzata nell’articolo 110 del Decreto n. 1265/1934, secondo il Consiglio di Stato, non indica necessariamente un locale attiguo al principale, ma rappresenta il concetto di ampliamento funzionale.

La farmacia, organizzata anche in due locali separati, destinati ciascuno a una specifica funzione, va intesa come un unico compendio aziendale.

La differenza principale tra le due pronunce: l’apertura dei locali al pubblico

Tra le due questioni che hanno portato alle rispettive sentenze del Consiglio di Stato qui brevemente commentate, c’è però una sostanziale differenza:

  1. nella pronuncia che riguarda i locali per la preparazione galenica da parte di una farmacia di Milano, non si tratta di spazi aperti al pubblico né destinati in alcun modo alla vendita;
  2. nel caso della farmacia comunale di Ferrara, la seconda sede, anche se non autorizzata alla vendita di farmaci di fascia A, realizza invece la nuova apertura di un “esercizio farmaceutico“ non espressamente contemplato dalle norme, e del quale, per ora, non si ha esperienza.

Il criterio dell’apertura al pubblico dei locali destinati alle prestazioni di assistenza farmaceutica viene definito anche dal Consiglio di Stato un “elemento dirimente” che caratterizza la sentenza di Milano: «Tale criterio non sarebbe in alcun modo intaccato dalla predisposizione di locali annessi, destinati a laboratorio, non aperti al pubblico, in luogo fisicamente separato dai locali della farmacia destinati alla vendita al pubblico».

Questa posizione viene però superata dalla pronuncia sul caso di Ferrara del 2022, perché là si consente appunto l’apertura al pubblico di un secondo locale che si riferisce alla stessa farmacia comunale, anche se con limitazioni relative ai prodotti e ai servizi che vi potranno essere erogati.

Sembra piuttosto facile predire che questa pronuncia farà molto discutere gli operatori del settore, tra cui sicuramente andranno incluse le parafarmacie, che più delle farmacie, sembrano destinatarie di una nuova forma di concorrenza.

 

avvocato Samuele Barillà

La medicina personalizzata nel futuro della farmacia

Il fenomeno della medicina personalizzata sta evolvendo a forte velocità e apre degli scenari interessanti tanto per l’evoluzione che imprimerà al mondo delle cure mediche e al mercato del farmaco per come li conosciamo oggi, tanto per l’impatto che potrà avere sul sistema di norme generale e specifico del diritto farmaceutico.

L’attenzione del mercato per la medicina personalizzata

È certamente in atto una progressiva transizione dei sistemi sanitari dal tradizionale modello sick care verso il più attuale modello di well care. Ricerca e mercato farmaceutico nel loro insieme sono sempre più concentrati sulle soluzioni per la cura della persona che non per la cura della malattia.

Chi eroga il servizio sanitario non può che convergere su questo focus seguendo quello che viene oramai definito il  megatrend della medicina personalizzata che ha investito il campo della ricerca, quello delle professioni sanitarie e quello dell’industria biotecnologica e farmaceutica, tutte oggetto di ingenti investimenti pubblici e privati.

Cosa è la medicina personalizzata

La medicina personalizzata può essere definita come un sistema interdisciplinare e dinamico della gestione dello stato di salute dell’individuo, costruito sulle caratteristiche personali di ognuno con la precisione fornita da ogni dettaglio fisiologico, fino alla mappa genetica.

Non è questa la sede per scendere in maggiori dettagli, ma è palese che ognuno di noi sia unico dal punto di vista genetico, anatomico e fisiologico e che questo abbia conseguenze decisive nella prevenzione, diagnostica e terapia di qualunque stato patologico.

Modificare la medicina come la conosciamo per adattarla alle peculiarità di ciascuno è il percorso logico che ha portato alla medicina personalizzata, sulla spinta delle innovazioni prodotte dalla ricerca e dalla tecnologia in combinazione tra loro.

Dallo studio della propensione ereditaria o genetica alle patologie, alla risposta individuale ai trattamenti, le cure potranno in futuro e sempre più, variare da persona a persona.

Fino a pochi anni fa le conoscenze e le tecniche non consentivano grandi cose, ma al giorno d’oggi, la medicina personalizzata investe numerosi campi, quali:

  • i test genetici predittivi
  • la medicina genomica
  • i dispositivi medici su misura
  • le terapie personalizzate a livello molecolare.

Questo settore muove, secondo recenti stime, un volume di affari che raggiungerà i tre billioni di dollari nel 2025 e questo, se fosse necessario, spiega l’attenzione del mercato.

Stampa 3D e Bioprint nel futuro delle farmacie?

La stampa tridimensionale gioca già oggi un ruolo molto rilevante nella medicina personalizzata. È del 1999 la notizia sensazionale che al Wake Forest Institute for Regenerative Medicine a Winston-Salem, North Carolina, USA venne stampato in 3D lo scaffold di una vescica umana, successivamente impregnato di cellule uroteliali e muscolari autologhe e impiantato in un intervento di cistoplastica.

L’accelerazione della tecnica e delle sue applicazioni in campo biomedico è stata inarrestabile. Dalla prototipazione di protesi, alla creazione di modelli anatomici per la pianificazione operatoria, alle guide chirurgiche e impianti su misura per ricostruzioni ossee, protesi d’arto, dispositivi impiantabili in materiale organico, ortesi e tutori personalizzati sono già il presente.

Una riflessione sulle implicazioni etiche e regolamentari della medicina personalizzata

Questa prospettiva solleva, come è intuitivo, una serie di questioni di carattere etico, legale e regolamentare alle quali sarà necessario dare risposte tempestive.

Gli annunci di mercato si susseguono a ritmo incalzante: sono in arrivo dispositivi per la stampa in 3D di farmaci che presto potranno essere impiegati negli ospedali e nelle farmacie.

L’approvazione da parte della FDA (Food and Drug Administration), nel 2015, della prima specialità farmaceutica ottenuta attraverso la stampa 3D (lo Spritam prodotto da Aprecia Pharmaceuticals, impiegato per il trattamento dell’epilessia), ha aperto le porte a imprevedibili scenari.

La fabbricazione su larga scala di farmaci standardizzati potrebbe non essere il futuro.

Avrà infatti sempre una maggiore incidenza la produzione locale e particolare di farmaci personalizzati che provocano meno effetti avversi e una migliore efficacia terapeutica.

Le stampanti 3D di ultima generazione permetteranno alle farmacie di produrre il farmaco giusto per il singolo paziente in piccole quantità. Le esigenze in termini di forma, dimensioni, colore, sapore, dosaggio e profilo di rilascio potranno variare a seconda del paziente e le competenze nella loro modifica costituirà un ulteriore valore aggiunto per chi lo dispensa.

Con lo sviluppo delle biostampanti in 3D, quelle attrezzature che possono creare strutture complesse di cellule tramite un processo di stratificazione, si arriva poi a riprodurre organi umani interamente funzionali.

Molecole come quelle del DNA sono state duplicate con successo, rendendo più facile lo studio dei tumori e i potenziali trattamenti. Cellule che aiutano a combattere il cancro al seno sono state stampate con successo utilizzando il bioprinting a getto d’inchiostro.

Le strutture ospedaliere, i presidi di cura, la filiera di distribuzione dei farmaci, la formazione degli addetti, la struttura delle loro aziende, la gestione dei dati dei pazienti e molto altro saranno probabilmente investiti da una imponente ondata di cambiamento.

Come spesso è accaduto in passato, probabilmente l’evoluzione della normativa non sarà in grado di anticipare gli effetti dell’impatto di questi fenomeni e li rincorrerà aggravando il già pesante ruolo degli interpreti nell’ambito di bioetica e diritto farmaceutico.

 

avvocato Samuele Barillà

Farmacia e Parafarmacia, scontro in Corte Costituzionale

La pandemia ha reso le farmacie degli snodi fondamentali per il servizio di screening anti covid. Nelle Marche, anche le parafarmacie erano state inserite tra i soggetti abilitati, poi sono state escluse. La questione ora pende avanti la Corte Costituzionale e dalla decisione potrebbero discendere ulteriori conseguenze.

Il TAR Marche con ordinanza n. 7 del gennaio 2022 ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sulla riserva alle sole farmacie – e non anche alle parafarmacie – dei tamponi anti Covid.

La Giunta regionale delle Marche aveva infatti ha annullato la delibera n. 465/2021 che consentiva alle parafarmacie di distribuire i test rapidi sierologici e antigenici per il Covid-19.

La delibera era frutto di un accordo del maggio 2021, siglato tra la stessa Giunta e le sigle che rappresentano i farmacisti di parafarmacia e aveva la dichiarata intenzione di potenziare il novero delle strutture abilitate a contribuire allo screening della popolazione in piena pandemia. Si erano così incluse le parafarmacie tra le strutture abilitate, a condizione che consentissero, per spazi e struttura, di provvedervi adeguatamente.

Federfarma Marche però, lo scorso 26 aprile 2021, diffidava formalmente la Giunta Regionale, chiedendo l’annullamento di quella delibera sostenendo una serie di violazioni tra cui quella della legge di bilancio 2020 (in particolare dell’art. 1, commi 418 e 419, della L. n. 178/2020), che indica solo le «farmacie» tra i soggetti idonei ad eseguire i tamponi.

La Giunta ha sospeso la vigenza della delibera e il provvedimento è stato impugnato da un gruppo di parafarmacisti avanti il Tribunale Amministrativo regionale che ha ritenuto di invocare la pronuncia della Corte costituzionale per contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza dei cittadini davanti alla legge), e 41 (libertà di iniziativa economica), della Costituzione.

Le conseguenze sul mercato del farmaco di una pronuncia di incostituzionalità

Se la Consulta dovesse esprimersi rilevando che il conflitto sussiste e le parafarmacie sono state ingiustamente penalizzate, il primo effetto sarebbe l’inclusione di un inciso che indichi le parafarmacie nella legislazione vigente. Le conseguenze non tarderebbero ad arrivare.

Indipendentemente da questa vicenda, però, il modello della farmacia ha subito in questi anni notevoli cambiamenti che ne hanno modificato la fisionomia.

È lecito chiedersi se la “triade” Farmaco-Farmacia-Farmacista rischi la crisi o se le sollecitazioni che vengono dal mercato aiuteranno la farmacia tradizionale ad evolvere ulteriormente.

Un primo sviluppo verrà dall’impatto della farmacia dei servizi, modello che consente alla farmacia di andare oltre alla mera distribuzione dei farmaci, attraverso la fornitura di servizi di assistenza domiciliare, di realizzare campagne di educazione sanitaria e di prevenzione e di prenotare gli esami e le visite specialistiche.

La farmacia dei servizi è stata introdotta nel 2009 (L.69/2009 cui è seguito il Decreto Legislativo 153/2009) e l’interesse dell’esecutivo per la sua piena realizzazione è stato confermato – come già visto- dalla Legge di Bilancio del 2020.

Oltre alle parafarmacie il cui ingresso sul mercato ha certamente eroso gli spazi commerciali delle farmacie, un altro fenomeno che interferisce con il mercato protetto delle farmacie è quello delle vendite online, di cui ci siamo occupati in un articolo precedente.

Ma altri soggetti sono entrati e stanno espandendosi sul mercato come concorrenti tanto dei distributori tanto dei retailer nel settore farmaceutico, sono le grandi catene di distribuzione come Boots e le Case di comunità che trasformeranno rispettivamente il mercato della distribuzione dei farmaci e la struttura di assistenza, in particolare di pazienti affetti da malattie croniche.

Se non bastasse, nello scenario emergenziale, con i fondi del PNRR che saranno destinati a colmare le attuali lacune del sistema di assistenza territoriale, sono piuttosto agguerrite anche le farmacie ospedaliere che rivendicano il riconoscimento della loro peculiarità di presidi di ricerca, orientati alla prevenzione e gestione della terapia, ma anche alla preparazione e distribuzione di farmaci, oltre che alla progettazione e fruizione delle tecnologie di healthcare.

Lo spazio delle farmacie si comprime o la concorrenza le riqualifica?

La domanda è dunque senza risposta, ma non c’è dubbio che la sfida sia aperta e che il confronto ora in atto davanti alla Corte Costituzionale potrà fornire una prima indicazione sullo scenario futuribile per il mercato farmaceutico retail.

 

avvocato Samuele Barillà