In attesa di conoscere i dati macroeconomici definitivi del 2023, molti analisti offrono opinioni e ricette sull’andamento della filiera del farmaco e in particolare sulla distribuzione intermedia, che rappresenta un anello essenziale per la salute dell’intera catena che va dalla produzione al consumo di medicinali con prescrizione medica nel nostro Paese.
I dati offerti da IQVIA Italia nel corso di un convegno organizzato nel maggio 2023 e la lettura dei bilanci depositati a fine anno, offrono una base utile agli osservatori per le proiezioni sull’anno appena iniziato.
Alessandro Orano, nella sua attuale veste di noto commentatore , nel corso di una video intervista al portale Farmaciavirtuale.it , si è concentrato sulla sostenibilità della filiera farmaceutica e ha attribuito una parte importante delle colpe della contrazione dei ricavi al nanismo delle imprese italiane del settore della distribuzione.
L’approfondimento parte da un dato incontrovertibile: la maggioranza dei grossisti distributori ha chiuso l’anno con bilanci in perdita e procederà sullo stesso declivio nel 2024.
l numero dei distributori, riferito anche da IQVIA conta “ben” 44 grossisti, di cui i primi 10 realizzano oltre l’80% del fatturato. La quota del 37% è composta dai distributori indipendenti, il 32% da cooperative di farmacie e il 31% da gruppi internazionali.
Dei primi dieci (per fatturato), nove possiedono un network di farmacie (che è come dire che sono proprietarie dei loro clienti), e 4 distribuiscono anche online con propri siti di e-commerce.
È altrettanto incontrovertibile che il fatturato dei grossisti distributori sia destinato ad affrontare nuove sfide anche nel corso del 2024.
Gli analisti puntano l’indice su alcuni fenomeni come:
La soluzione, per i distributori sarebbe quella di unire le proprie forze, con fusioni tra loro, per utilizzare le leve di marketing e di ottimizzazione logistica e gestionale e ottenere ricavi maggiori, oltre che per ridurre il numero di concorrenti.
Questa analisi però non tiene conto di tutti i fattori che determinano le regole della concorrenza in questo piccolo mercato.
Un primo fenomeno non trascurabile è quello noto come il direct-to-pharmacy, cioé la tendenza, in continuo aumento (+30% nel 2023), delle farmacie di approvvigionarsi di medicinali direttamente dalle case produttrici, che riteniamo insensibile alle suggerite concentrazioni.
Questa scelta, come abbiamo accennato anche in un altro post su questo stesso blog, ha diversi risvolti che sono in grado di modificare le regole del gioco tra i player di questo settore.
Non sempre, infatti, l’approvvigionamento diretto è una scelta che migliora la marginalità della farmacia, ma anzi aggrava la sua gestione interna perché la costringe a trattare e gestire un numero maggiore di fornitori.
I margini sono anche compressi dalla gestione delle giacenze e dei flussi di rivendita, con il rischio di aggravare i costi complessivi, anche se il margine sul singolo prodotto sembra premiare questa scelta.
Il costo indiretto di stoccaggio infatti, sulle grandi quantità, grava ora sui grossisti e lascia sostanzialmente indenni farmacisti e consumatori finali. Con l’approvvigionamento diretto si sposta sulla farmacia e l’esito, a lungo termine non sarebbe lieto, soprattutto per le farmacie indipendenti e in particolare per quelle rurali e per la loro utenza, che, senza i distributori indipendenti resterebbe senza medicine.
Resta il fatto che è impossibile impedirlo ed è un fattore indipendente e incontrollabile dalla grandezza del distributore.
Il secondo fenomeno riguarda i dati contraddittori sulle grandi catene di farmacie.
Le grandi catene di pharmacy retail all’estero sembrano in sofferenza (ce ne siamo occupati qui ), nonostante l’appeal che continuano ad avere in Italia. Pare azzardato ritenere che solo nel nostro paese questo modello continui a rappresentare la vera minaccia esistenziale al sistema distributivo farmaceutico. L’apertura di magazzini rappresenterà una razionalizzazione sia per la catena proprietaria, sia per i distributori che continueranno a servirla, non un fattore disruptive.
Il terzo fenomeno: non si tiene conto che le vere leggi della concorrenza tra i distributori le fa lo Stato
La Legge 248 del 2006 (nota come Decreto Bersani), ha consentito alle farmacie di fornire medicinali all’ingrosso probabilmente con l’intento di incentivare la nascita di altri gruppi e favorire la concorrenza.
Il fenomeno ha prodotto accorpamenti di farmacie che si comportano come gruppi di acquisto e distribuiscono farmaci al proprio interno, favorendo i cartelli, erodendo il mercato dei distributori indipendenti e tralasciando completamente le esigenze delle piccole farmacie e di quelle non accorpate in network.
La chiamata in causa dell’e-commerce come fenomeno che penalizza i distributori, da parte di alcuni analisti, non spiega tutto. Non si considera che i farmaci soggetti a prescrizione medica non possono essere distribuiti online.
In Italia -per ora- le norme sulla vendita di farmaci online sono stringenti e riguardano i farmaci OTC (da banco), e SOP (senza obbligo di prescrizione). Ce ne siamo occupati in questo articolo sul Blog di Studio legale Barillà.
Da ultimo i commentatori sembrano dimenticare che le norme che regolano la concorrenza in questo mondo non sono solo quelle del libero mercato e la logica di sconti, servizi, tempi e modi di distribuzione che teoricamente i grossisti potrebbero usare come leva, non possono interferire con regole imposte dall’alto, per legge.
Per tutte valgono l’obbligo di fornitura alle farmacie entro le dodici ore successive alla richiesta, ex art. 105 DLgs 219/2006 e i margini sui farmaci a carico del SSN imposto dalla Legge 30 luglio 2010 di conversione del Decreto Legge n.78/2010.
Di conseguenza, l’aumento dei costi di logistica, energetici e finanziari e l’incremento dei tassi di interesse sul denaro a debito non sarebbe compensabile giocando con i margini, nemmeno concentrando la distribuzione.
Un distributore indipendente quindi non può scegliere quando consegnare i farmaci per ottimizzare i propri costi di gestione, logistica e organizzativi, né può applicare sconti ai propri clienti, avendo margini risicati e fissati per legge.
La concentrazione dei distributori potrebbe, per eterogenesi dei fini, aggravare la situazione dei giganti che ne risulterebbero.
Sarebbero costretti a ridurre pesantemente la rete di magazzini, risultanti dalle aggregazioni, con l’inevitabile aumento dei costi energetici e logistici, per assicurare i servizi a territori più ampi.
Pare difficile che pochi distributori (quanti, due? tre?) siano in grado di sostenere economicamente ottomila comuni e oltre seimila farmacie rurali.
Incentivare la concentrazione tra i distributori è quindi una soluzione che non tiene conto dei limiti che la normativa italiana del settore impone e soprattutto del costo nascosto che il gigantismo dei grossisti avrebbe sul consumatore finale che nel nostro Paese spesso risiede in località remote o non urbane.
È, quindi, mia opinione che le uniche forme di concentrazione sostenibili riguardano probabilmente solo i piccoli distributori regionali.
La realtà è che da un lato occorrerebbe un cambiamento di mentalità da parte di tutti gli operatori del settore, dall’altro, una razionalizzazione delle norme che lo comprimono.