Numerose tipologie di farmaci molto richieste dal mercato sono diventate carenti.
Tra queste alcune vengono segnalate con maggior apprensione (la lista non ha pretesa di essere esaustiva):
Le sigle che rappresentano la filiera della distribuzione hanno lanciato l’allarme e chiesto un confronto con il nuovo governo.
Le diverse concause alla base di questa situazione partono dall’aumento della domanda, impennata dopo l’emergenza pandemica e si sono aggravate per l’aumento dei prezzi di logistica e confezionamento dei materiali.
L’incremento straordinario dei prezzi di numerose materie prime e dei carburanti (di cui ci siamo occupati in un altro articolo di questo blog), impatta in maniera determinante sia sui margini dei diversi operatori della filiera che, inevitabilmente, sui loro rapporti contrattuali.
Negli interventi che denunciano la mancanza dei farmaci a disposizione dei pazienti, si leggono due differenti espressioni, dal significato noto solo agli addetti ai lavori:
Nel primo caso è AIFA che dichiara un farmaco carente inserendolo nello specifico elenco quando riceve avviso dall’autorità europea EMEA o riscontra direttamente che un farmaco non è presente in modo sufficiente sul mercato.
La dichiarazione di carenza ha diverse implicazioni come ad esempio la limitazione o persino il divieto di esportazione.
La rottura di stock invece è la temporanea insufficienza del farmaco nei magazzini o depositi.
La rottura di stock può derivare da diverse situazioni di malfunzionamento nella catena di produzione e distribuzione del farmaco che generino una indisponibilità di medicinali per la distribuzione anche a fronte di una «non carenza» sul mercato.
È di pochi giorni fa la lettera di Federfarma Napoli con la quale si denuncia una ulteriore carenza allarmante di farmaci, soprattutto pediatrici, che affianca la oramai cronica difficoltà di approvvigionamento di medicine salvavita o di uso comune.
La stessa Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), impegnata nella tenuta e monitoraggio delle carenze di farmaci sul mercato ha denunciato l’aumento vertiginoso delle voci nell’elenco dei farmaci carenti, che sono passate da 2.500 del giugno 2021 alle oltre 3.100 dell’ottobre 2022.
In alcuni casi le carenze riguardano addirittura il principio attivo, come l’ibuprofene, disponibile solo in confezioni con dosaggi limitati; ma a preoccupare sono soprattutto le carenze di materiali coinvolti nel confezionamento, come plastica e alluminio.
L’impatto di questa crisi sulla filiera e sull’anello strategico dei distributori è devastante.
Le distribuzioni sono ridotte nel numero e nella frequenza e si ripercuotono con un effetto domino sui distributori intermedi e sulle farmacie.
Le conseguenze per gli utenti sono visibili a chiunque e gli sforzi di riorganizzazione o di ottimizzazione che ogni azienda si è impegnata a compiere non possono, da soli, essere sufficienti a contrastare questa crisi.
Un intervento complessivo sulla sanità e sulla organizzazione dei servizi territoriali non è più rimandabile.
Andrebbe affrontato tanto in termini di ripensamento delle regole, tanto di abbandono del modello regionale (come evidenziato anche in questo articolo).
Vengono invocati sostegni diretti alle imprese, tuttavia, andrebbe ripensata la natura dell’obbligo di fornitura di farmaci carenti (di cui ci occupiamo in questo articolo), ma anche la catena produttiva che, come per altri settori, mostra ora tutte le defaillances create da delocalizzazione selvaggia e dipendenza per gli approvvigionamenti di materie prime.
Avv. Samuele Barillà