La convenzione farmaceutica

La convenzione farmaceutica si trova in una condizione di immobilità ormai da diverso tempo. In questo articolo, cerchiamo di fare chiarezza sugli sviluppi di una questione tanto complessa quanto delicata.

I rapporti tra le farmacie e il Servizio Sanitario Nazionale sono regolati da una Convenzione stipulata tra Federfarma (Federazione Nazionale dei titolari di farmacia italiani) e le Regioni.

Il testo è stato reso esecutivo con il D.P.R. 8 luglio 1998, n. 371, ma è scaduto nel 2001 e si trova tuttora in regime di prorogatio.

Tutto il  settore è, di conseguenza, fermo allo scenario, ormai superato, di questo provvedimento che è stato adottato in un quadro normativo completamente diverso da quello attuale.

Da allora la situazione si è evoluta profondamente: il numero delle unità farmaceutiche è aumentato, si è diffusa la distribuzione diretta dei medicinali e, dal 2010, grazie a una serie di interventi legislativi, è nato un nuovo modello di business nel settore, definito come «Farmacia dei servizi».

La farmacia dovrà affermarsi non solo come punto vendita dei farmaci, ma rafforzerà il suo ruolo di mediazione sanitaria e si proporrà come luogo di erogazione di  servizi e prestazioni professionali per cittadini.

Tra questi i più significativi sono:

  • le prenotazioni delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale;
  • il ritiro dei referti relativi a prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale;
  • le autoanalisi e l’autocontrollo, insieme alle campagne di prevenzione, anche su grandi malattie, sul corretto uso dei farmaci;
  • infine, tutte le attività delegate alle farmacie nelle campagne vaccinali.

(Decreto 16 dicembre 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 del 10 marzo 2011; Decreto 16 dicembre 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 90 del 19 aprile 2011; Decreto 8 luglio 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 1 ottobre 2011).

Di recente, con l’emergenza legata alla pandemia da Covid-19, si è aggiunta una serie di nuove funzioni svolte dalle farmacie:

  • Prenotazione ed erogazione dei tamponi antigenici rapidi (legge 30 dicembre 2020, n. 178);
  • somministrazione di vaccini (limitata ai casi con supervisione di medici o assistiti, se necessario, da infermieri o da personale sanitario, consentita in via sperimentale per l’anno 2021).

Il rinnovo della convenzione farmaceutica è stato oggetto di contrasti tra Federfarma, in rappresentanza delle farmacie private, Assofarm, in rappresentanza delle farmacie pubbliche, e SISAC, la Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati. Le trattative sono giunte a uno stallo e sospese.

Le rappresentanze della categoria, infatti, non trovano adeguate le proposte che penalizzano soprattutto il ruolo delle farmacie rurali e svalutano il nuovo modello della Farmacia dei Servizi.

In parte poi si mantengono le posizioni di partenza sui temi più delicati della Convenzione, tra cui:

  • il sistema della distribuzione di farmaci per conto delle Asl (DPC);
  • il diritto di sciopero;
  • la destinazione del Fondo dello 0,15%, da riservare ad attività di formazione dei farmacisti che si occuperanno della somministrazione di test Covid-19 e di vaccini.

L’intero settore, nonostante il suo importante ruolo strategico,  si trova in una situazione di parziale immobilità, nell’attesa che le trattative riprendano e che si possa garantire la fruizione dei servizi farmaceutici e sanitari ai cittadini, nel modo più vantaggioso possibile per le parti in causa e la collettività.

L’incompatibilità medico – farmacista: una questione aperta

L’incompatibilità tra la professione di medico e di farmacista è ancora ampiamente discussa nel mondo giuridico. Questo articolo è una panoramica sulla situazione attuale, dalle prime sentenze alle più recenti scelte del Legislatore.

L’incompatibilità tra la professione medica e quella del farmacista è circostanza ben nota nel mondo giuridico ed è disciplinata nel nostro ordinamento dagli articoli 7 e 8 della Legge 362/1991 (Norme di riordino del settore farmaceutico). Secondo queste norme, la partecipazione alle società di farmacia non è conciliabile con l’esercizio della professione medica. 

In parole povere, un medico non può essere titolare o socio di una farmacia

Le motivazioni di questa scelta del Legislatore sono da ricercare nel conflitto di interessi che si potrebbe creare esercitando al contempo l’attività di prescrizione e quella di dispensazione dei medicinali.

Il divieto è dunque considerato necessario per preservare la salute pubblica e il corretto svolgimento del servizio farmaceutico.

Su questa questione e sulla sua interpretazione sono però in corso alcuni mutamenti, sino dalla approvazione della legge n. 124 del 2017 con la quale è stato concesso alle società di capitali di diventare titolari dell’esercizio di una farmacia. I dubbi e i quesiti sollevati tra questa disposizione e l’istituto dell’incompatibilità, si riferiscono in particolare al “se” e con quali limiti «la partecipazione alle società di farmacia è incompatibile… con l’esercizio della professione medica».

Secondo la stesura letterale della norma, infatti, l’incompatibilità riguarderebbe solo il socio persona fisica, ma per gli interpreti è inevitabile chiedersi se non si estenda invece anche alle società che svolgono attività sanitaria in senso più ampio, o ancora alle società nel cui organo amministrativo siedano componenti che svolgono attività medico-sanitaria.

Di recente, la questione è stata oggetto di interesse del Tar Marche, che si è espresso con la sentenza n. 106 del 9 febbraio 2021.

I giudici hanno ritenuto che la partecipazione societaria di una casa di cura alla società di gestione della farmacia fosse incompatibile con l’esercizio della professione medica esercitata dalla stessa casa di cura per violazione dell’art. 7 citato. Per il Tribunale è “indubbio che la partecipazione di un medico in un organo a cui spetta la gestione della società, che a sua volta è socio unico della società titolare di farmacia, non esclude quella commistione fra gestione di una farmacia e gestione diretta o indiretta di attività medica che può dar vita ad un potenziale conflitto di interessi”.

Dunque la società controllante, che gestisce una casa di cura e un ambulatorio medico, svolge indubbiamente attività medico-sanitaria. Si conferma come sia il potenziale conflitto di interessi che porta il Giudice amministrativo all’estensione dell’incompatibilità ad altra società, diversa da quella titolare di farmacia.

La terza sezione, con una sentenza non definitiva di fine dicembre 2021, ha posto al vaglio dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato l’interpretazione di queste norme. Non resta che attendere la pronuncia conclusiva su questa sottile questione.